Prigione di donne

Regista - Director: 
Anno - Year: 
1974
Soggetto - story: Brunello Rondi; sceneggiatura - screenwriters: B. Rondi, Leila Buongiorno, Aldo Semerari; fotografia - cinematography: Gino Santini; montaggio - editing: Giulio Berruti; scenografia - set design: Oscar Capponi; musica - music: Albert Ver­recchia; interpreti - cast: Martine Brochard, Marilù Tolo, Erna Schurer, Katia Christi­ne, Isabelle De Valvert, Aliza Adar, Ma­ria Cumani Quasimodo, Luciana Turina, Corrado Gaipa, Cristina Galbó, Maria Pia Conte, Felicita Fanny, Giovanna Ma­inardi, Anna Melita, Jill Pratt; produzione - production: Carlo Maietto per Thounsand; origine - origin: Italia, 1974; formato - format: 35mm, col; durata - length: 90’.
Copia 35mm della Cineteca Nazionale.

«Il passaggio da questo film liberamente delineato [Ingrid sulla strada] al successivo Prigione di donne, che su un’altra istituzione da negare dopo quella psichiatrica, la carceraria, attinge di nuovo alla consulenza di Semerari [Aldo Semerari, criminologo], fa pensare che Rondi giungesse ai risultati più alti cozzando con delle forti pressioni quando pur credeva di volerlo fare. Anche se infiorato di presenze femminili, da Martine Brochard (di nome Martine anche come personaggio, e coeva con gli ottimi Paolella monacali) a, per l’ultima volta, Erna Schurer, a Marilù Tolo, Katia Christine, Cristina Galbó, Isabelle De Valvert, Aliza Adar, Maria Pia Conte, Felicita Fanny, Anna Melita, Luciana Turina, il film si fa vedere molto diversamente dal precedente prison-movie di Di Silvestro, nel quale (come negli altri film di costui) possiamo abbandonarci alla perversione su cui ci guida, ma non possiamo trovare, come nel Rondi, una presenza anfibia tra il fisico e il finzionale, da cui può sprigionarsi qualcosa di libero. Ed è proprio quanto qui avviene: se in Valeria dentro e fuori il titolo riusciva a essere anche una chiosa al rosselliniano «dov’è la libertà?» (oltre il doppio significato più leggibile dell’interiorità/esteriorità tra psiche e corpo e della variante più volgarmente iterata della penetrabilità del corpo da ninfomane o troia che mente maschile preferisca pensare), qui le protagoniste si ritrovano alfine in una possibile zona di libertà di passioni, ed è davvero quanto di più vicino Rondi ha realizzato nel cinema rispetto alle proprie frequentazioni filosofiche della fenomenologia prima di diventare regista».

 

Sergio Grmek Germani, in Stefania Parigi,
Alberto Pezzotta (a cura di),
Il lungo respiro di Brunello Rondi,
Cantalupo in Sabina (RI), 2010

 

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