I nostri sogni

Regista - Director: 
Anno - Year: 
1943
Soggetto - story: Ugo Betti, dalla sua commedia; sceneggiatura - screenwriters: Vittorio De Sica, Margherita Maglione, V. Cottafavi, Paolo Salviucci, Cesare Zavattini, Adolfo Franci, U. Betti; fotografia - cinematography: Carlo Nebiolo; montaggio - editing: Mario Serandrei; scenografia - set design: Ottavio Scotti; musica - music: Raffaele Gervasio; interpreti - cast: V. De Sica, Maria Mercader, Paolo Stoppa, Luigi Almirante, Guglielmo Barnabò, Dina Romano, Aldo De Franchi, Leone Papa; produzione - production: Iris; origine - origin: Italia,
1943; formato - format: 35mm, b/n; durata - length: 70'.
Copia 35mm della Cineteca Nazionale  per concessione di Ripley's Film.

Opera d'esordio di Vittorio Cottafavi, dalla commedia di Betti già portata al successo da De Sica-Tofano.

«Questo giovanotto appagava il piccolo mondo borghese, gretto e stolido, della ragazza e della sua famiglia, forniva loro i sogni che chiedevano. Questi sogni di ricchezza, di successo, mostravano poi la loro inconsistenza, non solo per il fatto che lui era un povero cialtrone senza una lira, ma per il fatto che i suoi sogni non avevano una reale validità. [...] Il miliardario, il grande proprietario, è un esserino minuscolo, una creaturina, un vecchio centenario: la decadenza fisica più completa. Il potere economico, cioè, è rappresentato da un essere impotente».

Vittorio Cottafavi in Francesco Savio,
Cinecittà anni Trenta. Parlano 116
protagonisti del secondo cinema italiano

(1930-1943), a cura di Tullio Kezich,
Bulzoni, Roma, 1979, p. 392

«Cottafavi, che lo voglia o no, non fa che aggiornare, inasprendoli, i conflitti e gli interrogativi alla base della poetica di Camerini, di cui recupera parimenti anche il gusto per il dettaglio satirico (il padrone che invece dell'aumento regala biglietti per il teatro, la vecchia governante piena di buon senso, il finalino risolutore in stile signor Bonaventura...). L'aspetto cameriniano (Batticuore, I Grandi Magazzini), che però è più personalmente e pienamente rielaborato in chiave originale, mi pare sia quello metalinguistico. Non soltanto nelle due scene (peraltro assai divertenti) in cui si gira uno spot dei Magazzini, ma già dall'apertura (Leo truffatore e fine dicitore, le mastodontiche insegne Tuns), Cottafavi sviluppa una riflessione piuttosto chiara sul processo di mitizzazione che il linguaggio compie sul reale. Riflessione che, d'altra parte, può essere usata sia come chiave di lettura dell'opera in questione (un film tutto giocato sull'apparenza, apparato comunicativo per eccellenza: i "sogni" come frutto di una conoscenza indiretta, non dissimile da quella pubblicitaria, palliativo consumistico al male di vivere) che come tema di fondo della ricerca stilistica del regista».
(Simone Starace, 2007)

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