Fregonese Hugo

(Mendoza, 8 aprile 1908 - Buenos Aires, 17 gennaio 1987)
Argentino ma di famiglia italiana, inizia a occuparsi di cronache sportive nei primi anni '30. Un viaggio di studi negli Stati Uniti, però, lo mette in contatto con l'industria cinematografica, che cerca un consulente per un film d'ambientazione latino-americana. Anche se il progetto non va poi in porto, Fregonese si è ormai appassionato al mondo del cinema e, quando torna in patria, ha accumulato conoscenze sufficienti per lavorare come assistente per i prestigiosi Pámpa Studios e per la Artistas Argentinos Asociados. Il regista Lucas Demare, dovendosi assentare per alcuni giorni dal set, gli permette inoltre nel 1944 di firmare come co-regista per Pámpa bárbara. Il suo primo film da solista, Donde mueren las palabras (1946), gli apre subito dopo le porte di Hollywood, dove nel frattempo conosce e sposa l'attrice Faith Domergue. Dopo altre due produzioni argentine, esordisce allora con un noir di serie B, One Way Street (1950), cui seguono altri western (Apache Drums, 1951, ultima produzione di Val Lewton) e thriller a basso costo (Man in the Attic, 1953). Nonostante l'efficacia di questi lavori, Fregonese si sente però insoddisfatto del sistema hollywoodiano, che non gli lascia spazio per progetti personali, e a metà anni '50 tenta la fortuna in Europa, lavorando in Italia (I girovaghi, 1957), Gran Bretagna (Harry Black, 1958), Germania Ovest (Die Todesstrahlen des Dr. Mabuse, 1964)  e Spagna (dove progetta un Don Chiosciotte ma finisce invece per vedersi finanziato un remake del film d'esordio, El Cjorro, 1966). Chiude infine la sua attività rimpatriando in Argentina, dove dirige i suoi ultimi due film, La mala vida (1973) e Más allá del sol (1975).

Nell'estate del 1955, mia madre, mio fratello John e io andammo a vivere a Roma. Ci riunivamo così con mio padre, che era già lì per lavorare su un film. Aveva deciso di lasciare Hollywood e, per i 15 anni successivi, avrebbe vissuto e lavorato in Europa. Andammo a stare nel suo appartamento, sulla Cassia, a pochi passi da Ponte Milvio. Le nostre domestiche ogni giorno portavano me e John a far compere ai mercati all'aperto. C'erano i tram (che spesso si scollegavano, facendo scendere tutti), i carri funebri trainati da cavalli, gli agricoltori che portavano i loro prodotti su carretti a mulo, e alle volte qualche mangiafuoco che si fermava nella speranza di attirare una piccola folla. C'era più vita che in qualsiasi altro posto avessi visto.
Fra gli amici dei nostri genitori c'erano Walter Chiari ed Elsa Martinelli, che si presentavano insieme la domenica. Walter era un pagliaccio irresistibile, che si divertiva a intrattenere chiunque, dagli animali di Villa Borghese ai camerieri da Nino, dove spesso pranzavamo. Sapeva far ridere chiunque, e non si fermava finché non ci si arrendeva.
L'inverno 1955-56 fu particolarmente rigido, con diverse nevicate. Dopo Capodanno, ci spostammo in una piccola villa in via della Mendola, fuori Monte Mario. Roma all'epoca non si era ancora espansa fin laggiù, e c'erano pochissime costruzioni, soltanto un convento sulla strada e qualche baracca di contadini. Quando ripenso a quei mesi in via della Mendola, così tanti ricordi tornano a galla: il profumo dei pomodori, l'amicizia (e i drammi!) dei contadini con cui intrecciammo le nostre vite, le galline, le vipere a cui mi avevano raccomandato di fare attenzione e gli interminabili pranzi che lasciavano paralizzati.
Partimmo da Roma nel tardo 1956, e non saremmo tornati prima del 1963. Monte Mario allora era già diventato un groviglio di appartamenti, e sebbene la nostra villa fosse ancora in piedi, adesso era schiacciata fra due alti palazzi (molto attraenti, a dire il vero). Beh, il nuovo doveva rimpiazzare il vecchio, e sicuramente le persone vivevano meglio adesso, ma sono così felice di aver sempre conservato quelle istantanee della Roma anni '50, perché ormai è una Roma scomparsa, svanita. E questa fortuna l'ho avuta solo grazie ai miei genitori, alla loro instancabile ricerca di nuove possibilità. Grazie, mamma e papà.

Diana Fregonese, agosto 2011

In the summer of 1955, my mother, my brother and I went to live in Rome. We were rejoining my father who was already there, working on a film. He had decided to leave Hollywood, and for the next fifteen years, he lived and worked in Europe.
We moved into his apartment with him, on the Via Cassia, just steps away from bustling Piazza Ponte Milvio. Our two teen-aged maids, with John and me in tow, would shop at the open-air food stands daily. There, the tram passed through (and sometimes became disconnected, with everyone disembarking), there were horse-drawn funeral coaches with veiled widows, farmers brought produce in mule carts, and the mangiafuoco would occasionally stop by and attempt to draw a crowd. There was more activity than I had ever seen in one place.
Among my parent's friends were Walter Chiari and Elsa Martinelli, who would come over together on Sundays. Walter was an irresistible clown, who delighted in amusing everyone, whether it was the animals at the Villa Borghese zoo, or the waiters at Nino's, where we often lunched. He could make anyone laugh, and wouldn't stop until everyone was helpless.
The winter of 1955-56 was unusually cold, snowing several times. After the New Year, we moved to a pretty little villa on Via della Mendola, out on Monte Mario. Rome hadn't spread that far yet, and there were very few buildings, just a convent down the road, and the little shacks of the contadini.
When I think of those months on Via della Mendola, so many memories come flooding back - the perfume of tomato vines, the friendliness (and the dramas!) of the local contadini with whom our lives became intertwined, our chickens, the vipers we were told to watch out for, and the long lunches which immobilised one afterwards.
We left Rome in late 1956, and didn't return until 1963. Monte Mario was, by then, a tapestry of new apartment buildings, and while our villa had survived, it was wedged between two tall (and admittedly attractive) palazzi. Well, the new had to replace the old, people certainly were better off, but I am so glad I have those mental snapshots of Rome in the 1950s, because it was gone, vanished. And our experience only happened due to my restless parents seeking new careers. Thanks, Mom and Dad.
Diana Fregonese, August 2011
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