Per chi votano I mille occhi?

Non è naturalmente una dichiarazione di voto, non solo perché statutariamente a un'associazione apartitica essa non sarebbe consentita, ma prima di tutto perché siamo da sempre convinti che chi fa cultura (cinematografica e non soltanto) deve far emergere dal campo che gli compete il massimo di informazioni e conoscenze, tali da consentire al proprio pubblico di fare scelte più informate e consapevoli di come le avrebbe fatte in assenza della nostra attività. Come ben si vede, non è un'ambizione da poco, ma riteniamo sia un'impresa necessaria, tantopiù per chi si occupa di cinema. Il cinema è infatti, tra tutte le arti, la più legata al rapporto con la realtà. E non è un caso che il cinema italiano sia stato, al di là dei diversi poteri politici dominanti, non solo un testimone ma un interprete, più lungimirante e acuto della politica, nel rapporto con il nostro vivere da cittadini, il nostro far parte di una dimensione sociale. Questa capacità, dagli anni '30 all'inizio degli anni '80, quindi in epoche con poteri di riferimento diversi, il cinema italiano ha saputo averla. Negli anni più recenti essa è ancora presente ma nelle eccezioni, nei film e negli autori più estranei alle regole, non fa più parte del tessuto stesso (variegato e contraddittorio quale fu) dell'insieme del cinema italiano, come appunto avveniva negli anni precedenti. Basti ricordare che nei primi anni del secondo dopoguerra il cinema fu la quintessenza di una voglia di rinnovamento e rinascita; che nell'era del boom e del miracolo economico all'inizio degli anni '60 seppe esserne sia una realizzazione che un lungimirante rivelatore di criticità; ma anche in epoca totalitaria il cinema italiano fu tutt'altro che un recipiente di ordini ricevuti, seppe interagire liberamente con i fermenti ideologici del tempo; anche nella presunta normalizzazione degli anni '50 seppe mettere i desideri e le passioni al posto di comando; anche dall'epoca sessantottesca ai primi anni '80 raccolse le pulsioni persino distruttive reinventandole (da Giulio Questi a Nando Cicero).

Non è da nostalgici accorgersi che nei decenni più recenti quest'energia diffusa è mancata al cinema italiano: non lo è proprio perché riteniamo invece che nella realtà essa sia presente, è il cinema che ne è al di sotto e non al di sopra come sapeva essere. Nella realtà recente forse c'è più bisogno di calcolare e di cautelarsi, comportamento che le sconfitte delle generazioni precedenti hanno reso una necessità per quelle attuali. Ma c'è anche una potenziale libertà, una disponibilità all'imprevisto, di cui l'imminente esito elettorale sarà probabilmente un rivelatore.

I mille occhi hanno sempre ritenuto umiliante che chi fa cultura sia indotto a fare lobbying politiche e questue per farsi riconoscere un valore. Ai diversi interlocutori politici (e ne abbiamo trovato di sensibili e d'insensibili in tutti gli schieramenti) abbiamo semplicemente detto: valutate davvero il nostro lavoro, diteci se vi sembra necessario. I sostegni pubblici e privati di cui la cultura ha bisogno non sono quote di riferimento o inertemente concesse regalìe. Dovrebbero sapersi riferire alle iniziative con competenza pari a quella di chi le svolge, cercare dunque in primis di capirle con umiltà. Invece molto spesso non si ritrova nei politici il bisogno di capire e interpretare le cose. Vi sono delle eccezioni, come nel cinema italiano recente, ma non il senso diffuso di un imperativo deontologico che debba appartenere all'agire politico.

Aspettiamo quindi che ci si dica (e quella che lo dirà sarà la parte giusta) come mai non si dia per scontato che fare cultura cinematografica non è un prolungare gusti e comportamenti di un pubblico già consolidato: chiunque è bravo a farlo. Deve invece essere uno stare all'avanguardia, fare proposte che cerchino nuovi pubblici, rifiutare ciniche catalogazioni come la falsa alternativa tra successo e nicchia. I sostegni pubblici non dovrebbero essere estranei a questa valutazione progettuale, naturalmente privi di forme mentis censorie, bensì capaci di investire sulla ricerca.

Intanto noi dei Mille occhi andiamo avanti, da soli o accompagnati. Siamo fieri di partire da una base di realizzazioni che hanno saputo essere lungimiranti. Per dire, qual'era stato il festival che due anni fa ha saputo realizzare una rassegna come "Giullari di Dio", all'interno della quale si era riproposto il capolavoro di Luigi Comencini Cercasi Gesù di cui nel 1982 fu protagonista il Beppe Grillo oggi al centro di tutte le attenzioni? Quel film è stato appunto uno degli ultimi segni di come il cinema italiano fosse avanti sui tempi. Quel film era una libera opera d'autore, una delle realizzazioni del vero messianismo che appartiene al cinema (con punte in Rossellini e Dreyer) ma in esso vi era anche un'anticipatrice capacità di rivelare il mondo attorno. (s.m.g.)

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