Presentazione XIX edizione

 

S.O.B

di Sergio M. Grmek Germani

 

Il cinema che cos'è, Anna? - Il cinema... il cinema è la cosa... di finzione... finzione... una cosa anche se si fa violenza non è vero... anche se nel film c'è una madre che muore non muore davvero... se una bambina si rompe una gamba non si rompe davvero... fa solo finta... il cinema è così... è una propria finzione... la piccola Anna Bellina a scuola in Seguendo Petoti di Giancarlo Deganutti, documentario sul set di Maria Zef di Vittorio Cottafavi

 

Riappaiono anche quest'anno I mille occhi, allora? Confessiamo che un po' sorprende noi per primi. Anche se in tutti questi mesi dall'anno scorso non erano mancati incoraggiamenti di chi ci conosce e ci stima, purtroppo la lezione socratica e rosselliniana della consapevolezza di dover sempre imparare dalle cose sembra addirsi poco soprattutto a chi decide dei sostegni pubblici alle manifestazioni culturali e cinematografiche, che sui Mille occhi ha già deciso di non ritenerli indispensabili. Per noi infatti l'emergenza sanitaria è arrivata dopo una condanna all'inesistenza "per mancanza di risorse" (è l'esatta dizione per cui il nostro festival, seppur promosso nei punteggi, resta tuttavia fuori dalle graduatorie utili). L'anno scorso il festival si era potuto realizzare grazie al generoso sostegno della Cineteca del Friuli e dei tanti collaboratori disposti a rinunciare ai compensi o ad attendere tempi prolungati nel nostro impegno a onorare quel poco che si può pattuire a fronte di un grande impegno. Non potevamo, in tutta franchezza, quest'anno approfittare di chi ci aveva già aiutati. Ma per fortuna, come Biancaneve in fuga dalla cattiva matrigna, siamo giunti alla modesta casa dei sette nani, e prendendo un po' da ciascuno cerchiamo di superare fame e stanchezza. Come sempre è da chi ha meno che si riesce a ottenere di più. Questa XIX edizione non avrebbe potuto esistere se non esistesse Fuori orario, il programma di Rai3 creato da Enrico Ghezzi e del cui primo gruppo creativo il direttore di questo festival è lieto di aver fatto parte, con amici che non ci sono più come Marco Melani e Ciro Giorgini, e con alcuni (in particolare Roberto Turigliatto e Paolo Luciani) che restano le colonne del programma insieme ad altri che li hanno raggiunti dalle successive generazioni. Anche se (senza ipocrisie) con enrico ci furono da parte di chi scrive momenti talvolta difficili, gli va riconosciuto di aver creato dentro la televisione (non solo relativamente a quella italiana, quella che vorrei chiamare dei tre angeli, l'Angelo Romanò che inaugurò con Cottafavi la Seconda Rete, l'Angelo Guglielmi che diede un'impronta unica alla Terza Rete, e, non dimentichiamolo, il Siro Angeli che da una pluriennale invenzione radiofonica raggiunse con la sua segreta ma certa grandezza di poeta il cinema e la televisione di Cottafavi, ancora) ma appunto l'esperienza non è unica solo in ambito italiano, è nel contesto internazionale che l'esperienza di Fuori orario è unica, forse l'unico luogo della televisione (e della vita?) dove tutto appare possibile. Dopo la collaborazione e l'attenzione di notti in occasione del festival negli anni scorsi, quest'anno c'è di più: una convergenza di passioni che condividiamo nella realizzazione di tre notti/giorni di festival. Ne diremo meglio, ma prima onoriamo gli altri apporti salvifici. Un progetto che può crescere molto (e che il prossimo anno si troverà a celebrare il centenario della prima casa del cinema ideata, la CASA del grande italo-francese Ricciotto Canudo), quello della Casa del Cinema di Trieste che riunisce gran parte delle attività svolgentisi nell'ambito del cinema in questa città, ci ha favorito in più modi e, in attesa di valorizzare anche il nostro archivio, ci consente di realizzare la parte fisica del festival in tre spazi di proiezione. Agli archivi di cinema, italiani e stranieri, quest'anno abbiamo potuto chiedere meno film, ma restano il nostro habitat d'elezione, alle cui ricerche e lavorazioni non chiediamo soltanto ma ogniqualvolta possibile cerchiamo di aggiungervi i frutti del nostro lavoro. Non sempre i ritrovamenti sono direttamente nostri ma cerchiamo di dare col nostro entusiasmo un'impronta forte anche a quelli altrui. Quest'anno il magnifico Incontro con il padre di Cottafavi, estratto dall'oblio da Roberto Turigliatto, e Altre epifanie di Ellis Donda, raggiunto nella collezione di Luciana Sacchetti dalle ricerche di Stefano Miraglia e Cecilia Ermini, sono tra i vanti del nostro programma. Poiché infatti dai veri maestri non si cessa mai di imparare, riteniamo che l'entusiasmo vitale di Henri Langlois sia infinitamente più importante delle distrazioni che talvolta gli si rimproverarono, e alcune sue affermazioni restano rivelatrici: come quando rispetto alla storia del cinema di Brasillach, senza doverne dir male, rileva che la sua sottovalutazione di Dreyer è segno di come allora il cinema fosse così ricco di capolavori che ci si poteva concedere talvolta il lusso di non accorgersene... È proprio così, la storia del cinema (e segnatamente di quello italiano) è stata scritta sin troppo lasciandosi guidare da modelli culturalistici e etichette che nulla fanno capire: magari qualcuna aveva un fondo di verità (per esempio calligrafismo e neorealismo) ma sono diventate dei passepartout che non rivelano più nulla. Confesso di ritenere ancora più inerti certi pseudoconcetti che la mia generazione di "giovani critici" ebbe il torto di frequentare: cinema popolare, cinema di genere ecc. (lasciando poi perdere le varianti autoparodiche dei "culti" e delle "chicche"). Quando esplorai Camerini, prima di raggiungere una più matura conoscenza in progress della sua vera grandezza, subii troppi "immaginari" senza cogliere che quel conio della critica precedente del "comico sentimentale" era molto più acuto, al punto che oggi ci permette di far convergere nella forza del cinema anche cose diverse, per esempio Camerini e McCarey. E viva, sia detto ora per ricordarlo, la tenacia con cui Edoardo Bruno calcò il "poetico politico" e "il cinema come pensiero", intercettando nel suo percorso incantato (magari talvolta poi perdendoli) scrittori-spettatori unici come Giuseppe Turroni, Michele Mancini, Maurizio Grande e il nucleo di "Cinema & Film". Ma è stata "Filmcritica" la più conseguente a sostenere Lattuada, Cottafavi, De Seta e altri grandi cineasti, comunicando a tutto il pensiero sul cinema vivo la rossellinicentricità. Certo, poi onestamente gli rimproverammo l'indifferenza a Stavros Tornes, o a quel mondo da Allan Dwan e McCarey a Matarazzo che solo i macmahoniani colsero in tutta la sua grandezza. Ma nessuno può fare tutto: nemmeno noi, purtroppo. Tornando ai nani, che per noi sono anche più di sette, ci tengo a ringraziare le donorship di alcuni frequentatori del festival, tra le quali è particolarmente decisiva quella di Massimo Ferrari. E poi i collezionisti, che le cineteche dovrebbero un po' meno considerare dei compagni di strada secondari, e invece riconoscere nelle loro passioni, magari casuali, la capacità di aver salvato e continuare a salvare opere che altrimenti farebbero parte dei condannati (per ora) alla sparizione, gli Sperduti nel buio, Ragazzo, Jolly, La casa dei pulcini, In amore si pecca in due, Il caso Haller, Ombre su Trieste, Scampolo 53, La sultana Safiyè, Il fantasma della morte, AAA offresi, Le notti bianche di Cottafavi, o Il prurito unica regia di Carlo Levi prodotto da Marco Ferreri. Col programma di quest'anno, dovendo forzatamente ridimensionare la quantità, abbiamo voluto esaltare i punti fermi delle nostre scelte di cinema. Le notti con Fuori orario ci consentono di tornare sia su film già programmati che su film che avremmo voluto programmare ma aspettavamo l'edizione giusta per farlo. Nessun canone o anticanone, per carità. Ci attirano invece le pulsionalità centrate su certi autori dei primi Cahiers (i dittici Hitchcock-Hawks e Rossellini-Renoir), o i poker di Présence, ma non al punto da non ripensarli con altre precedenze o con inclusioni che anche quei percorsi critici lungimiranti sottostimarono. E anche dentro l'opera di autori già riconosciuti non mancano le sottovalutazioni, e quella del Triple agent di Rohmer con cui apriamo il festival è esemplare. Per il nostro Premio Anno uno era uno dei premiati mancati perfetti, e se forse io esagero a considerarlo il più bel Rohmer tra tutti, non credo di sbagliarmi del tutto. E credo di poter indicare attorno una costellazione di capolavori ignorati che è la più adeguata a capirlo: Två människor (Due esseri) di Dreyer, My Son John di McCarey, Topaz di Hitchcock, Anno uno di Rossellini... Ecco, I mille occhi hanno sempre desiderato scoprire che, oltre ai consapevoli incontri tra opere di cineasti, vi sono le convergenze parallele che spesso spetta a noi spettatori cogliere, e con ciò non si fa una forzatura arbitraria, si scoprono fili inaspettati anche per gli stessi autori ma operanti nei loro film. Rohmer oltre che cineasta e teorico delle arti va riscoperto anche in quello su cui altri vollero vedere dei limiti: il ruolo di direttore di rivista, capace di sommare dentro essa le proprie passioni ad altre non necessariamente percorse da lui direttamente. La vicenda coi macmahoniani ci sembra esemplare, e così l'aver accolto nella rivista l'opzione Minnelli-Cukor di Domarchi e Douchet. E allora, quando ci capiterà di programmare il suo film gemello di quello di quest'anno, L'Anglaise et le duc, ci piacerà avvicinargli oltre che Reign of Terror di Anthony Mann anche Il cavaliere di Maison Rouge di Cottafavi e Guai ai vinti di Matarazzo, anche se certamente li aveva accolti con distrazione. Cottafavi e Matarazzo sono per noi tra i massimi punti fermi del cinema italiano, e anche quest'anno cerchiamo di attraversarli in un'esplorazione infinita ed appassionante. Di Rossellini (come d'altronde di Dreyer) offriamo quest'anno solo qualche evocazione, ma più che mai convinta.

E nel cinema svelato dai macmahoniani (Mourlet e Lourcelles in primis) ci soffermiamo ulteriormente su Leo McCarey (e ne vediamo qui una bellissima foto da Love Affair con sfondo del poi warholiano Empire State Building su cui si rinvia l'appuntamento d'amore anche nell'ulteriore An Affair to Remember). Lo proponiamo anche per ricordare il grande critico Jean Douchet che per la retrospettiva di Locarno, pur non essendo stato sino ad allora il regista tra i suoi prediletti, seppe dire cose definitive, indicando quel "comico come il tragico che fa ridere" che è la miglior definizione sia per McCarey che per la sua creazione Laurel & Hardy. Di Stanlio e Ollio l'Italia è in qualche modo il secondo paese: il loro finale Atollo K (dal quale ci ha lasciati quest'anno la anche clouzotiana Suzy Delair) è uno dei film maledetti, coprodotto in Italia, e di cui con gli altri amici di SOS Stanlio e Ollio condividiamo la convinta riscoperta. Con essi ci siamo ora avventurati nella ricostruzione delle versioni italiane, fantasiose riscritture delle voci e dei dialoghi originali. Nessun dubbio che la dittatura del doppiaggio (termine ben convergente con un'altra dittatura) abbia cancellato in Italia l'universo sonoro degli originali: ma la brillantezza delle sue invenzioni crea un universo parallelo che acquista autentica vitalità. Ragione per cui programmiamo anche la versione italiana di Mary Poppins e in apertura a questa introduzione pubblichiamo, grazie a Paolo Venier, i tre cartelli finali di credits della copia italiana proiettata, che non trovate in nessun dvd o Blu-ray seppur opzionante la versione italiana. Ma aggiungiamo che questo film di autore sfuggente (come in tutto l'universo disneyano da cui sono qui presenti anche l'originario genio di Ub Iwerks e il produttore Bill Walsh essenziale anche nell'universo parallelo dei fumetti di Floyd Gottfredson) non va abbandonato ai cultismi nostalgici: come per l'altro grande film coe - vo con Julie Andrews (che da questo sarà evocata da Blake Edwards nel film che ci regala un titolo polisenso per questo scritto), The Sound of Music (Tutti insieme appassionatamente), si poté, nella grande punta crepuscolare del cinema americano anni 60, considerarlo solo un divertimento "impersonale", ma in realtà è un film che pluralizza l'autorialità, stravolge qui gli stessi confini tra figure umane e animazione e si pone in quel solco che noi chiamiamo dell'Expanded Dreyer: ovvero il cinema del grande danese come rivelatore dei motivi profondi del cinema, del suo rigettare la morte ancor più tenacemente di come Canetti propone. L'opera di Cottafavi, che peraltro di Dreyer scrisse, è disseminata di istanze dreyeriane, come sottolinea il ritrovato Incontro con il padre. E lo è il magnifico Matarazzo che programmiamo. E lo è il cinema-poesia della grande iraniana Forugh Farrokhzad, per noi con Larisa Šepit'ko e Tanaka Kinuyo prova vivente di come il femminile nel cinema fosse sempre stato centrale, quanto Dreyer, senza attendere quote e correttismi. Ma per noi Forugh viene anche a manifestarsi, con il suo finale di uscita dalla casa nera, come la massima staffetta di quei due film che sono "primitivi" solo quanto lo sono Eschilo e Dante, ovvero La sortie des usines Lumière di Louis Lumière e il da noi accolto in tutta la sua grandezza Luca Comerio di Le officine della "Fiat". Tanto altro ci sarebbe da dire ma queste introduzioni sono solo tracce di entusiasmi da svi - luppare nelle visioni. Non ci resta che salutare quanti, oltre ai precedentemente citati, hanno lasciato questo mondo dall'edizione precedente in qua.

 

Enrique Irazoqui e Virgilio Fantuzzi sono stati, con l'indimenticata Angela Felice, insieme ospiti pasoliniani di una passata edizione del festival. Ma dalla costellazione del poeta casarsese è mancato anche Nico Naldini. Tra i nostri ospiti passati ricordiamo la passione polimorfa di Ornella Volta, che incontrammo attraverso Giuseppe Lippi e Jacques Baratier. Altri importanti incontri sono avvenuti in manifestazioni vicine, con Bo Berglund a Pordenone e Gemona, con Lefteris Xanthopoulos a Venezia. E con la stupenda Anna Karina a Udine e a Locarno. Con lei e con Marie Lafôret, incontrata solo attraverso un capolavoro dell'adorante Zurlini, il mondo ha perso quattro occhi tra i più belli di sempre. Tra i nostri spettatori e occasionali collaboratori vogliamo ricordare lo scrittore Juan Octavio Prenz, la fotografa Neva Gasparo, l'imprevedibile Gianni Ursini, gli storici Roberto Finzi e Sergio Zucca. Altri incontri sono rimasti in sospeso o limitati a presenze delle opere: così con un grande autore televisivo, Sergio Zavoli, e con il catalizzatore di cinema Sandro Ambrogio di cui solo qualche mese fa abbiamo appreso la notizia della morte, partecipando di slancio al volume-omaggio dedicatogli dagli amici genovesi. Ma vogliamo ricordarlo in quest'anno anche per l'allontanarsi di un'attrice di cui lui come pochi seppe cogliere l'insolito fascino, Olivia de Havilland. Sono mancate presenze che più che insediarsi nel cinema lo hanno attraversato con forza: Emanuele Severino, Alberto Arbasino, Vittorio Spinazzola. E aggiungerei qui Franca Valeri e Gianrico Tedeschi, attori che hanno calato nel cinema il genio teatrale. E un creatore dello spettacolo televisivo, Antonello Falqui. Corpi d'attore fortissimi: Kirk Douglas, Max von Sydow, Michel Piccoli. Presenze femminili diversamente magnetiche: Lucia Bosè, Wakao Ayako, Isabelle Weingarten, Sue Lyon, Neda Arnerić, Honor Blackman, Irm Hermann, Vera Lynn, Zizi Jeanmaire. Un autore totale: Ennio Morricone. E tra i registi un'enciclopedia dei morti di kišiana prepotenza, e nell'anno in cui attendiamo di vedere il nuovo film del felicemente vivo Karel Vachek, ha invece allontanato altri due tra i massimi cineasti cechi, Ivan Passer e Jirˇì Menzel. Di cui un titolo ci torna dagli anni 60 come se fosse diventato, da specchio di un totalitarismo datato, specchio del nostro presente. Festival strettamente sorvegliati.

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